«La liberazione di Udine è una pagina di gloria per la Cavalleria italiana. La città che più direttamente visse tutte le ansie della guerra, e sentì i fremiti della vittoria e fu d'impeto travolta e oltraggiata nei giorni del dolore, ha veduto i cavalieri della terza divisione entrare audaci nelle sue mura quando ancora gli ultimi austriaci non se n'erano allontanati».
È la
sera del 6 novembre 1918 quando da Udine, appena liberata, Raffaele Garinei, uno dei più prestigiosi inviati del giornalismo italiano d'inizio Novecento, telegrafa al suo giornale, Il Secolo- all'epoca il secondo quotidiano più diffuso in Italia (230 mila copie vendute al giorno durante la guerra) dopo il Corriere della Sera- il reportage su quei momenti storici. Un racconto avvincente, carico di particolari, prezioso a novantanove anni di distanza per ricostruire ora dopo ora il ritorno di Udine all'Italia, che avvenne un giorno prima delle 15 del 4 novembre 1918, ora in cui entrò in vigore l'armistizio che sancì la vittoria sull'esercito austro-tedesco dopo oltre quattro anni di guerra.
Il lungo reportage uscì sulla prima pagina de Il Secoloil 7 novembre 1918 con il titolo «Come Udine fu riconquistata dalla Cavalleria italiana», pezzo portante di un giornale di quattro pagine interamente dedicato al trionfale epilogo del conflitto. Nel giorno in cui ci fu «l'occupazione di Pola da parte della nostra Marina», o si registrò «il ritorno dell'esercito in tutto il Goriziano" - questi i titoli principali del quotidiano che fu fondato a Milano nel 1866, guarda caso l'anno del ritorno del Friuli all'Italia a seguito della Terza guerra d'Indipendenza, da Francesco Teodoro Moneta, premio Nobel per la pace nel 1907 – ecco dunque il racconto dell'ingresso trionfale nel capoluogo friulano della nostra Cavalleria.
«All'alba di domenica 3 novembre mentre sul Tagliamento erano in azione anche le batterie divisionali a cavallo, il generale Guicciardi chiamò i comandanti dei quattro suoi reggimenti e disse loro 'Oggi dobbiamo essere a Udine; ciascun reggimento formi la sua pattuglia di punta e vada a conquistarsi la gloria". L'ordine fu eseguito mentre intorno a Bonzicco si combatteva».
Il racconto di Garinei si fa incalzante. Del resto, l'autore del reportage era, come detto, uno degli inviati di punta del giornalismo italiano. E fu proprio Il Secolo,già alla fine dell'Ottocento, a utilizzare il telegrafo per l'invio degli articoli e il reperimento delle notizie e a dare ampio spazio al racconto degli inviati che, durante la Grande Guerra, consentirono al lettore di trovarsi proprio 'dentro" il conflitto.
«Passavano gli audaci al galoppo, cercando di evitare i centri abitati attraverso la campagna e Udine appariva sempre più vicina. All'una e venti, il tenente Baragioli era innanzi a Porta Venezia. Egli sentiva già che sarebbe giunto prima delle altre pattuglie ed aveva con sé una lettera del colonnello Marchino, comandante del reggimento Savoia, di saluto per il sindaco di Udine e aveva anche un suo breve messaggio tracciato su un modulo bianco di trasmissione di ordini, avvolto in un piccolo drappo di seta tricolore».
Le prime truppe entrarono a Udine, scrive Garinei, ma non tutti i nemici avevano ancora abbandonato il capoluogo. «In città la notizia si diffuse in un attimo. Erano arrivati i fratelli ansiosamente desiderati: bisognava aiutarli a spazzare via dalla città gli austriaci che non erano ancora riusciti a fuggire... Pochi erano gli uomini per occupare la sera stessa Udine. D'altra parte per le strade i cittadini impugnando le armi avevano già preso di petto gli austriaci che non si erano ancora allontanati. C'erano state fucilate a Porta Venezia e una donna e un bambino furono uccisi. L'intervento di una pattuglia di pochi uomini avrebbe reso anche più sanguinoso il conflitto senza poterlo tuttavia scongiurare».
Udine, la notte tra il 3 e il 4 novembre, era una città in cui alla felicità per l'arrivo del liberatore era contrapposta la paura per le ultime ritorsioni del nemico, che ancora occupava alcuni palazzi e che cercava disperatamente una via di fuga. «Ma ormai gli italiani erano giunti – scrive ancora Garinei – e Udine trascorse l'ultima notte di dominio austriaco col pensiero rivolto ai liberatori. La mattina di lunedì (il 4 novembre ndr), sopraggiunte altre pattuglie, i cavalieri penetrarono in città e spazzarono via solo con la loro presenza i nemici che ancora vi si indugiavano. Con slancio di gioia per tanto tempo trattenuta, la popolazione si affollò lungo corso Venezia per salutare i liberatori. Già bandiere tricolori erano state messe fuori dalle poche finestre delle case abitate, sul balcone del Municipio, sul monumento a Vittorio Emanuele e sul Castello. E nastrini dai colori italiani erano distribuiti da chi con fede per un anno li aveva tenuti nascosti. Alle 11 si udì il suono della fanfara: la Cavalleria italiana entrava in città e ne riprendeva il possesso».
La città si liberò come d'incanto d'un anno intero si sofferenze e, annota l'inviato de Il Secolo, «l'entusiasmo della popolazione di Udine raggiunse le forme del delirio. Viva l'Italia! Viva la Cavalleria! Viva i nostri liberatori! si gridava. Alcune donne si avvicinarono al generale Guicciardi cercando di baciargli le mani mentre sui cavalieri si gettavano fiori e si lanciavano stelle filanti. I nostri soldati erano profondamente commossi. La dimostrazione si protrasse per parecchie ore e poi le vie rimasero affollate, mentre ancora qualche austriaco sgattaiolava dalle case cercando di raggiungere la campagna».
La cavalleria inseguì il nemico in fuga ben oltre Cividale dove pure le truppe italiane trovarono un'accoglienza trionfale. Alle 15 del 4 novembre, ora indicata per il cessate il fuoco e per l'entrata in vigore dell'armistizio chiesto dagli sconfitti, gli italiani erano davanti a Caporetto, il paese della valle dell'Isonzo simbolo della disfatta di poco più di un anno prima.
È mercoledì 6 novembre quando 'il nostro autore", Raffaele Garinei, entra a Udine. Nei due anni del fronte inchiodato sul Carso, il giornalista, come i suoi colleghi (non solo italiani), aveva fatto base nel capoluogo friulano, capitale della guerra, per raccontare le vicende belliche. Ecco allora come racconta il suo ritorno in città: «Ieri sera sono ritornato ad Udine dopo un anno di forzata lontananza. La città illuminata era deserta e le sentinelle sorvegliavano ogni crocevia. Era a conoscenza del Comando che v'erano ancora austriaci in Udine ed era stato ordinato che dopo le ore venti nessuno potesse circolare per le vie. Ho subito avuto la sensazione della barbarie nemica vedendo grossi fabbricati distrutti nel centro della città come se su di essi si fosse abbattuto il terremoto. Sulla piazza ho cercato subito i bronzi antichi, il monumento a Vittorio Emanuele era ancora là e l'angelo era ancora sulla torre del castello. Un rapido giro della città mi ha mostrato nuove brutture e nuove devastazioni. Sono entrato all'albergo Croce di Malta. Era abbandonato, le stanze aperte mostravano la mobilia non del tutto distrutta e i letti sconvolti senza biancheria. In alcune stanze si erano riparati per passare la notte nostri ufficiali. Ho seguito il loro esempio nell'attesa del giorno».
Si va verso la fine dell'articolo e il giornalista ci porta a passeggio in una città ancora ferita, nonostante la festa per la liberazione: «Percorrendo le vie di Udine ho constatato che non la sola casa del Lessovich (un assessore comunale prigioniero politico a Vienna ndr) è stata distrutta. È un lungo elenco di strazio. Il teatro Minerva fu arso da un incendio appiccato dai soldati tedeschi che vi si erano rifugiati e vi avevano accesi grossi bracieri per riscaldarsi. Sulla piazza dov'è l'albergo Italia l'intero lato sinistro è ridotto a un immenso cumulo di macerie. Tutti i palazzi Angeli che componevano l'isolato sono stati abbattuti. Il palazzo dell'antico sindaco Pecile è stato atterrato e così anche sono diroccate le case Gaspardis e Mercato Vecchio; lo stabile Piuzzi e gli stabili Del Torso nel sobborgo Aquileia; le case Volpe in via Bertadia, le case Riccioli e Giacomelli in via Poscolle, lo stabilimento Calligaris ed altri ancora: 68 sono gli edifici abbattuti».
E a poche ore dalla liberazione i primi profughi, soprattutto coloro che avevano maggiori possibilità economiche, tornano a Udine. «Per le strade della città, addolorati e tristi per la constatazione della rovina, ho veduto parecchi cittadini di Udine ritornati nelle prime giornate di redenzione: il prefetto Errante, il sindaco Pecile, il sottosegretario barone Morpurgo. Questi ha trovato il suo palazzo devastato nell'interno. Giorni fa vi abitava una pseudo contessa austriaca, amante di un alto ufficiale austriaco. Quando fu costretta ad abbandonare Udine, fece caricare su camions la migliore mobilia e il resto fece distruggere. L'altra sera, a cavallo, giunse a Udine il maggiore Giacomo di Prampero. Così vivo era per lui il desiderio di rivedere la sua città, che sfidò il pericolo del passaggio tra le fila nemiche. Ed ho veduto anche, giunti a Udine in bicicletta da Padova, il commerciante Repetto Babini, della Camera del Lavoro, e altri che chiedevano con ansia notizie e che nelle loro case abbandonate nulla hanno ritrovato di quanto erano costretti a lasciare».
Immagini di distruzione, di saccheggi che turbarono la festa di Udine per il ritorno all'Italia. Infatti nei giorni successi alla liberazione sulle pagine dei quotidiani le notizie sulla conclusione della guerra lasciarono rapidamente il posto ai primi (pesanti) bilanci sui danni dell'immane conflitto.
Ma questa è un'altra storia.