domenica 9 giugno 2013

I racconti sulla guerra nel rifugio antiaereo

Centinaia di persone per la riapertura del bunker nel Giardino del Torso a Udine, alla scoperta di un capitolo della nostra storia 
di Michela Zanutto

C’è il sole quando arrivano i primi visitatori al bunker del Giardino del Torso. Un assalto pacifico, proseguito per tutto il pomeriggio, incurante del meteo. Perché quella della seconda guerra mondiale è una ferita tuttora aperta nella città medaglia d’oro alla Resistenza.
Una ferita che ha testimoni diretti in ogni famiglia. E così in via del Sale sono arrivate ancora una volta centinaia di persone. Soprattutto bambini, «perché è importante che capiscano cos’è stata la guerra», spiega una mamma. Seduta pochi passi più in là, all’ombra di un albero, c’è Edgarda Ildos. Classe 1926, aveva 14 anni nel 1940 e abitava a Udine, in via Cicogna.
Chiude gli occhi per rivivere quei momenti e per un attimo settant’anni scompaiono. «Le bombe cadevano di giorno e notte – ricorda –. Suonava la sirena e la mia famiglia si precipitava in fondo all’orto, dove papà aveva scavato un bunker. In verità era più simile a una trincea, ma lo chiamavamo bunker. Stavamo lì, fermi, sperando di non essere fra i bersagli degli aerei».
Scendendo la decina di gradini che portano nella pancia del rifugio restaurato nel Giardino del Torso, Edgarda è tornata a quel passato. «Mi si è stretto lo stomaco – racconta stringendo il gracile pugno –, mi è subito salita l’ansia». L’umidità, il suono della sirena che annuncia le bombe, il senso di claustrofobia. Edgarda si è seduta un attimo sulla panchina di legno. «Le racconto questa – dice –: prima di scappare in campagna, a Cassacco, stavamo in centro.
Gli aerei da combattimento sfrecciavano sopra le nostre teste. Ma un giorno la contraerea colpì un apparecchio inglese. Lo vedevamo volteggiare nell’aria, cadere pericolosamente in senso circolare, seguito da una scia di fumo nero. La gente in via Cicogna era come impazzita, tutti correvano a perdifiato in cerca di un riparo. Andavamo in una direzione e sembrava che l’aereo stesse per finire sopra le nostre teste. Quindi via tutti dall’altro lato della strada. Alla fine cadde nell’area dell’ex birreria Moretti. Il pilota sopravvisse allo schianto, ma fu fatto prigioniero dai tedeschi».
Durante la guerra, la giovane Edgarda continuò ad andare a scuola, anche dopo lo sfollamento a Cassacco. Ogni giorno prendeva il tram per andare al Percoto. E ogni giorno scrutava il cielo alla ricerca di “Pippo”, l’aereo angloamericano che pattugliava i cieli mitragliando ogni luce lasciata imprudentemente accesa. «Ma colpiva anche di giorno – giura Edgarda –, l’obiettivo era la linea del tram. Ricordo una notte in particolare, quando la donna che ospitava la mia famiglia non rispettò l’oscuramento: dimenticò di chiudere un’imposta e la luce accesa attirò l’attenzione di Pippo. In meno di un minuto era sopra le nostre teste, spargendo bossoli ovunque».
Messaggero Veneto 09 giugno 2013

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