La mattina del 27 agosto 1917, mentre con altri ragazzi giocavo vicino ad un accampamento di soldati in via San Rocco, udii un tremendo boato in direzione di Sant’Osvaldo (distanza in linea d’aria seicento metri circa) e contemporaneamente vidi levarsi altissima una fiammata in una colonna di fumo nero, scorgendo nello stesso istante, quasi verticalmente a essa, un aereo che sorvolava la zona. Non ho mai saputo di quale nazionalità fosse quel velivolo. Lasciai i compagni e mi precipitai subito a casa, che si trovava nella stessa via San Rocco, e assieme a mia madre e a mia sorella Emilia, profuga dalla Romania invasa dai tedeschi, ci portammo, seguiti da altre persone, verso il centro della città. Durante la nostra corsa si susseguirono altre tremende esplosioni e a ognuna di esse, per lo spostamento d’aria, venivamo scaraventati a terra.
Arrivati in viale Venezia, dove c’era un fuggifuggi generale, autorità militari ci fecero scendere nelle cantine della fabbrica Birra Moretti, perché sulle prime tutti credevano che si trattasse di un bombardamento aereo. Quando si seppe che le esplosioni, che continuavano, erano dovute allo scoppio della polveriera e del deposito di munizioni di Sant’Osvaldo, i militari ci fecero uscire dalle cantine e salire su autocarri dell’esercito assieme a tutti i civili che erano nelle adiacenze e portarono noi a Colugna, altri a Feletto, Tricesimo e località vicine. Anche mio fratello Leonardo e mia sorella Virginia, che si trovavano a lavorare in città, ripararono fuori Udine. Per effetto delle esplosioni gran parte della città ebbe i vetri infranti con infissi e tegole per le vie; fotografie apparse su “L’Illustrazione italiana” mostravano l’allora Piazza Vittorio Emanuele II con la Torre dell’Orologio con i vetri rotti e frammenti sparsi sul terrapieno della stessa piazza. Il rumore delle esplosioni si udiva alla distanza di oltre venticinque chilometri da Udine. Verso sera ci riportarono alle nostre case che trovammo scoperchiate, senza vetri e con pareti crollate.
A pericolo cessato, un mio coetaneo ed io, vinti dalla curiosità, temerariamente eludemmo il cordone di truppe postate intorno a Sant’Osvaldo e ci inoltrammo nella zona del disastro. Lo spettacolo era terrificante. Sembrava un vero e proprio campo di battaglia sconvolto: enormi crateri, case crollate, scoperchiate, incendiate e tutto intorno proiettili esplosi e da esplodere. I militari, appena notata la nostra presenza, ci allontanarono subito. A mio fratello Gino, che si trovava al fronte, fu dato un permesso per recarsi a visitare i familiari, essendo la nostra casa a non molta distanza dallo scoppio. Vedendo il disastro prodotto dall’esplosione, mio fratello lo paragonò al Carso, stravolto dai bombardamenti.
27 Agosto 1997
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