sabato 23 marzo 2019

Il Cinema Odeon di Udine 




Il Cinema-Odeon fu progettato dell’ingegnere Ettore Gilberti, e la realizzazione fu portata a termine da Ferdinando Vicentini. L’inaugurazione del 1936, avvenne nel segno di un film cult dell’epoca, 'Desire' di Ernst Lubitsch, affidato a due icone del cinema del tempo, Marlene Dietrich e Gary Cooper.

Dopo decenni di onorato servizio, anche l'Odeon ha chiuso i battenti, stritolato, come altri cinema, dalla concorrenza di multisala (dove il vicino rumina odiosamente pop corn alla maniera americana), home video e mutato costume di un'utenza dedita a una molteplicità di svaghi impensabile fino a qualche anno fa. Nato negli anni Venti, per molte generazioni è stato il cinema dei "terzi", il loggione dove studenti, militari e meno abbienti potevano vedere un film a poco prezzo anche se con limitata comodità. Le sedie erano di legno, appiccicate l'una all'altra, tanto da farti sentire puntate nella schiena le ginocchia di chi ti stava dietro o addirittura, a sala meno affollata, i piedi allungati di un poco educato spettatore retrostante appoggiati sui braccioli del posto libero accanto al tuo. Aleggiava una vaga atmosfera paesana, ai terzi, soprattutto il sabato sera, quando il divertimento principale dei giovani, negli Anni '60 e '70, era costituito appunto dal cinema in allegra compagnia e da una successiva birretta (o tajut) in qualche bar, la cui chiusura non si protraeva mai oltre l'una. La folle corsa verso le discoteche non era ancora diventata di moda, anche perché solo i più fortunati potevano disporre della Seicento di papà con cui scarrozzare gli amici verso le ridotte mete del sabato sera. E i terzi, allora, si riempivano anche di gruppi a cui il film in programma interessava relativamente e che lassù si appollaiavano appunto con la mentalità festaiola del loggione. Così, ad esempio, nel film "Le calde notti di Poppea", durante la scena di un inseguimento in un campo di grano di una procace fanciulla di una leggera tunica vestita (e dalle bellezze ballonzolanti al vento) da parte di un manipolo di soldati romani, qualcuno commentava a voce alta con ruvido accento dell'Alto Friuli: "Ce polmòns!" e tutta la sala era un fragore di risate. Oppure, trascinato da una claque di casinisti, il pubblico si lasciava andare ad un clamoroso applauso quando il protagonista di un film di Dario Argento, "L'uccello dalle piume di cristallo", con un tuffo alla Zoff schiaffeggiava via dalle labbra della sua bella un bicchiere colmo di una bevanda che lui aveva intuito essere venefica. Un settore ruspante che i ragazzi, per lo più senza le "mule" segregate in casa la sera dagli austeri genitori, frequentavano solo in compagnia di amici. Perché se all'Odeon ti capitava di andarci la domenica pomeriggio con la ragazza, dovevi per forza poterti permettere perlomeno la platea (dalle sedie anch'esse di legno, ma chi ci faceva caso?), con quelle imbottite dei "primi" frequentate solo in caso di eventi speciali. Già, perché lì ti sentivi un abbiente, concedendoti anche una sosta sui divani del foyer per poi dare uno sguardo alla vita di Udine dall'ampia vetrata del mezzanino. Un cinema che avevi dentro, l'Odeon, anche quando le lunghe code della domenica ti costringevano ad attendere il tuo turno d'ingresso nel piazzale antistante, magari sferzato dal vento o sotto la pioggia. E di code ce n'erano davvero quando attendevi di entrare (sperando di trovare poi posto a sedere) per vedere James Bond, King Kong o Fantozzi o i western-spaghetti di Sergio Leone, Angelica (con la meravigliosa Michèle Mercier nuda di spalle!) o Helga, dove per la prima volta nella storia del cinema assistevi a un parto senza censura. Passare davanti all'Odeon, negli ultimi anni, e vedervi nell'atrio deserto gli addetti passeggiare avanti e indietro con aria vagamente sconsolata metteva un po' di tristezza. Così come incute malinconia il sapere che entro breve il vecchio, caro cinema cambierà aspetto, diventando probabilmente sede dell'ennesima banca, di anonimi uffici commerciali o, quel che è peggio, un garage. Ma è tutto sommato la fine, anche più triste, che hanno fatto purtroppo molte altre sale cittadine, passate a miglior vita o adibite ad altri usi. L'elenco degli estinti, al proposito, è lungo, dall'Eden caro al compianto Renzo Valente, e sulle cui ceneri è sorto l'Upim, ai piccoli cinema parrocchiali o di periferia. Come il "Roma" di via Pracchiuso, il "Friuli" di via Deciani o il "Bertoni", emissione dell'omonimo collegio, cari soprattutto ai ragazzi delle Parrocchie delle Grazie e del Redentore. Lì, tra cow boys e antichi romani, con un omino dal banchetto appeso al collo a passare tra le file offrendo "bagigi, caramelle, màndole", la mulerìa trascorreva un paio d'ore nei pomeriggi domenicali, con buona pace dei genitori, tranquilli nel sapere la prole in mani sicure. E poi il "San Giorgio", alle spalle di via Grazzano, l'"Asquini", il "Cecchini" di via Piave, il "Cristallo", il "Diana" e il "Ferroviario", con gli ultimi due a sopravvivere, a prescindere da tutto, grazie alla particolarità della filmografia rispettivamente offerta. Di livello superiore erano altri "cari estinti" come l'"Astra", nella galleria di Palazzo Kechler ora abbandonata anche dai magazzini Coin, il "Moderno" di via Aquileia, a un passo dall'attuale "Ariston", e il cinema-teatro "Puccini", abbattuto in toto e rilevato nel solo nome, qualche metro più in là, dalla sala inaugurata nel '66 con "Il papavero è anche un fiore" e che subì i primi veri affollamenti con "Mary Poppins" e la commedia fantascientifica "Barbarella", la cui principale attrattiva era costituita dalle evoluzioni di una Jane Fonda senza veli. Fra gli ultimi a cedere, il "Capitol" di piazzale Osoppo, sotto la cui galleria si fecero code chilometriche per "Il dottor Zivago", "La febbre del sabato sera", "Ritorno al futuro" e l'allora scabroso (negli anni Settanta) ma a distanza di tempo ingenuo "Gola profonda", interpretato dalla recentemente scomparsa Linda Lovelace. Nel vuoto lasciato dal "Capitol" dovrebbe prendere posto un magnifico parcheggio coperto, ma anche qui esiste una speranza riguardo ai soliti, noiosi uffici commerciali. Un condominio, quello dell'ormai ex "Capitol", che comunque prese a sua volta il posto, nei primi anni Sessanta, di un datato edificio alle cui spalle aveva sede il cinema all'aperto "Alle Alpi", molto frequentato dagli udinesi nelle calde serate estive. Anche allora, riportano le cronache, ci furono sentite rimostranze della cittadinanza riguardo alla decisione di seppellire la tradizione in nome della novità. Come dire che, a prescindere dallo scorrere del tempo e dal mutare delle mode, la voglia di nuovo, a Udine, non ha mai fatto parte dell'io più o meno nascosto della gente.

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