sabato 11 ottobre 2025

 MINA - Gli Anni Ri-Fi



Ricordo con chiarezza il mio giradischi Europhon, il primo grande amore della mia adolescenza, molto più di un semplice apparecchio: era una porta verso un mondo di sogni, un ponte che univa il mio cuore di ragazzo alla voce di Mina, che sembrava cantare solo per me. Era l’estate del 1964, e il ricordo di quando convinsi mio padre a comprarmelo, dopo settimane di suppliche e con la scusa della mia promozione scolastica, è ancora nitido. Diecimila lire, una somma che allora sembrava un tesoro, ma che valse ogni sacrificio. Con il giradischi arrivò, come omaggio, il 33 giri “20 successi di Mina” della serie Niagara, e da quel momento i miei pomeriggi cambiarono per sempre. Mi chiudevo in camera, posavo l’ago sul vinile con la cura di un rito, e il lieve fruscio che precedeva le note era già un incantesimo. Quando la voce di Mina si levava, calda e potente, mi perdevo in “Il cielo in una stanza”, anche se ogni volta mi irritava quella sfumatura finale che spezzava la magia. Quel giradischi Europhon, semplice ma robusto, era il centro del mio mondo: il ronzio sommesso del motore, il lento girare del piatto, il gesto di pulire il disco con un panno morbido per non graffiarlo. Ogni dettaglio era parte di un rituale che rendeva quei momenti speciali. La mia collezione di dischi cresceva lentamente, costruita con i pochi soldi che riuscivo a mettere da parte. Davo ripetizioni d’inglese ai ragazzi delle medie, un lavoretto che mi permetteva di inseguire le uscite Ri-Fi di Mina, che arrivavano puntuali, una per ogni stagione, come un calendario che scandiva i miei giorni. Ricordo l’emozione di trovare “Città vuota”, non il disco tris, ma quello con “E’ inutile” sul retro, un piccolo trofeo pagato con i miei risparmi. Poi vennero “Un anno d’amore”, “Ora o mai più” – quest’ultima un omaggio della rivista “Bella” – e ogni 45 giri era una conquista, un pezzo di vita da custodire. Ma anni prima, quando ero ancora alle elementari e non avevo l’Europhon, collezionavo i flexi, quei dischetti sottili e fragili che uscivano con “Il Musichiere”. Fra tutti, ricordo “Ho scritto col fuoco”, che tenevo con cura in un cassetto, senza poterlo ascoltare spesso, perché non avevo un giradischi. A volte lo portavo da amici che possedevano un radiogrammofono, ma loro non amavano quei flexi: dicevano che rovinavano la puntina, e io tornavo a casa con il mio dischetto, un po’ deluso ma felice di possederlo, perché per me era un piccolo tesoro, anche se non prezioso come oro.Nel settembre del 1965, quando Mina si esibì a Udine, nel cortile delle scuole elementari “Dante Alighieri” – la mia prima scuola, dove un paio d’anni prima avevo visto esibirsi Pino Presti con il complesso di Santi Latora – pedalai con la mia bicicletta fino al cancello di quel cortile, sperando di cogliere almeno un’eco della sua voce. Il biglietto costava 2000 lire, troppo per le mie tasche. Guardavo le coppie eleganti entrare, le luci che si accendevano, e me ne tornai a casa, con un nodo in gola, stringendo il manubrio. Ma una volta lì, posai sul mio Europhon “E... e L’ultima occasione”, un 45 giri per jukebox comprato a 400 lire – oggi, forse, 4 o 5 euro del 2025 – e lasciai che la voce di Mina mi consolasse, come sempre faceva. La mia vita era fatta di piccoli riti: le 50 lire che mia madre mi dava per “Sorrisi e Canzoni”, altre 50 per un caffè al bar il sabato sera, dove guardavo “Studio Uno” sulla televisione comune, sognando il giorno in cui ne avremmo avuta una in casa (arrivò solo a Natale di quell’anno). La domenica, con 100 lire, potevo permettermi un film in seconda visione, ma il vero lusso era tornare a casa e far girare il mio Europhon, con Mina che trasformava ogni pomeriggio in un viaggio.Oggi, quando scorro la tracklist di queste nuove edizioni – il doppio LP in vinile da 180 grammi e il cofanetto di 4 CD, restaurati e rimasterizzati in analogico, limitati a sole 500 copie numerate – mi sembra di sfogliare un diario della mia giovinezza. Ogni titolo, da “Città vuota” a “Un anno d’amore” a “E... e L’ultima occasione”, è un ricordo che si accende: l’estate del ’64, le corse in bicicletta fino al cancello della “Dante Alighieri”, le giornate passate a sfogliare “Il Musichiere” quando ero ancora alle elementari, il cassetto dove custodivo il flexi di “Ho scritto col fuoco”. Mi sento quasi un sopravvissuto, con tutti gli anni che sono passati, eppure quelle canzoni sono ancora qui, nei miei 45 giri, nei 33 giri, nelle musicassette, nei CD, e ora in queste edizioni speciali. Confesso che, quando la nostalgia mi prende, apro YouTube o Spotify, ascolto un brano e lo posto sulla mia bacheca con un commento, come per condividere un frammento di quel ragazzo che ero. Ma il fascino di un vinile o di un cofanetto numerato è un’altra cosa: è come toccare di nuovo il mio Europhon, risentire il fruscio dell’ago, rivivere l’attesa di una nuova stagione Ri-Fi.Mi chiedo cosa abbia provato Max, insieme ai suoi assistenti, nel dar vita a questa raccolta. Loro non hanno vissuto quegli anni, non hanno conosciuto l’emozione di correre a casa con un 45 giri sottobraccio, né la magia di posare l’ago sul vinile, trattenendo il fiato per paura che saltasse. Non hanno mai sfogliato “Il Musichiere” da bambini, né custodito un flexi in un cassetto, sognando il giorno in cui avrebbero avuto un giradischi tutto loro. Per loro, queste canzoni devono essere giunte anni dopo, forse a fine anni ’70 o nei primi ’80, come un’eredità musicale da scoprire. Immagino che abbiano ascoltato ogni traccia con la cura di chi restaura un dipinto antico, cercando di cogliere l’essenza di un’epoca che non hanno vissuto, ma che devono aver percepito nella potenza della voce di Mina. Restaurare questi brani dev’essere stato un atto di dedizione, un lavoro meticoloso per ridare splendore a note che, per me, sono frammenti di vita. Non hanno i miei ricordi – il ronzio del mio Europhon, le vetrine dei negozi di dischi, la bicicletta ferma al cancello della “Dante Alighieri”, il cassetto con quel flexi tanto amato – ma il loro lavoro mi permette di rivivere tutto questo, come se il tempo non fosse mai trascorso.Questi dischi, questo vinile e questo cofanetto, non sono solo musica: sono un ritorno a casa, un modo per risentire la voce di Mina che si leva dal mio vecchio Europhon, per ritrovare il ragazzo che sognava davanti a un giradischi e che, in fondo, vive ancora in me. Ogni nota è un frammento di quegli anni, un pezzo di cuore che batte ancora, e io sono grato di poterlo stringere tra le mani, con lo stesso stupore di allora.

Nella foto Mina nel settembre 1965 alla Mostra della Casa Moderna a Udine con il patron Alfiero Bettarini..

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